Anno Domini 2025, siamo vicini alle Idi di Marzo e nel Senato di Cesare si discute su un problema che pone Atene; il pensiero va a lui anche se non è qui che è stato ucciso, ma siamo qui nel suo Foro Imperiale… 2500 anni dopo… e certamente lui avrebbe presenziato alla discussione, perché la Curia Iulia era il luogo da lui voluto per le questioni importanti e questa lo è. La connessione tra passato e presente qui è forte e la percepiamo tutti noi che siamo seduti in quella stessa curia, su quello stesso pavimento, intatto, a discutere del Partenone a due passi dal Colosseo.
Due landmark iconici, due simboli, non solo delle capitali in cui si trovano ma delle due grandi culture che hanno influenzato tutto il Mediterraneo e l’Occidente. Possiamo quindi capire bene che se accadesse al Colosseo quello che è accaduto al Partenone non sarebbe solo una questione di marmi, ma di un simbolo.
È per questo che siamo proprio qui nel cuore del Parco Archeologico del Colosseo, dove è volato da Atene il Direttore Generale del Museo dell’Acropoli insieme al Direttore della Scuola Archeologica Italiana di Atene, per fare il punto sulla questione “I Marmi del Partenone: la bellezza eterna”.
La bellezza ci entra dentro senza chiedere il permesso... è prepotente la bellezza.
Era il V secolo a.C., conosciuto come “il secolo d’oro”, in cui Atene raggiunse il suo massimo splendore sotto la guida di Pericle: di egemonia politica, di crescita economica e di fioritura artistica e culturale.
Pericle affidò a Fidia, il massimo artista dell’epoca, la direzione del progetto che doveva esaltare in una narrazione di straordinaria bellezza i valori ateniesi, ponendoli sotto la protezione di Athena Parthenos dedicandole un tempio sul punto più alto della città.
I cosiddetti “marmi del Partenone” sono quindi i gruppi scultorei dei due frontoni e i fregi bassorilievi che un tempo erano parte integrante del più importante tempio dell’Acropoli di Atene e che ancora oggi sono considerati tra i maggiori capolavori artistici prodotti dall’umanità.
Da allora, 432 a.C., trasformazioni e distruzioni si sono susseguite per secoli: da Tempio a Chiesa a Moschea e persino utilizzato come polveriera dai turchi! Le membra del Partenone, come quelle di un corpo martoriato, giacenti a terra scomposte, frantumate dall’esplosione nell’assedio dei Veneziani, molte si trovano oggi sparse in Europa, soprattutto in Inghilterra e Francia, attraverso i canali più vari, acquisite con modalità più o meno legittime. Se oggi possiamo immaginare l’intera composizione originaria è solo per alcuni disegni eseguiti prima delle distruzioni dai reporter dell’epoca, che muniti di carta e matita viaggiavano al seguito di diplomatici ed esploratori.
Eppure, la sacralità di quel luogo, ancora oggi, quello scheletro che si erge sull’Acropoli, pure così spogliato, esercita un fascino ed ha un valore indiscusso che va oltre l’arte e tocca questioni più profonde.
La democrazia di Pericle è quella che ha ispirato tutte le attuali democrazie dell’Occidente. Le sculture di Fidia hanno costituito il modello di riferimento per tutta la scultura classica ed ebbero un’importanza enorme nella storia dell’arte europea.
Purtroppo, è sopravvissuta fino a noi solo la metà delle sculture e solo la metà di queste è custodita nel Museo dell’Acropoli. L’altra metà nel 1801 prese la via di Londra per mano dell’allora Ambasciatore Britannico presso l’Impero Ottomano, il lord scozzese di Elgin, con una presunta autorizzazione (non dei greci… ma dei dominatori turchi che avevano preso il controllo del Peloponneso!). I marmi rimossi dal tempio quindi come membra strappate al corpo (compresa una delle sei cariatidi dell’Eretteo, un’altra famiglia resa orfana…), con i fregi martoriati per dimunirne lo spessore (da 65cm a 14cm!) per agevolarne il trasporto in nave, finirono dapprima nella residenza di campagna del Lord e poi venduti al Governo Britannico sono ancora oggi esposti nel British Museum dal 1816.
Questi Marmi con la M maiuscola furono uno shock dal punto di vista estetico perché non si era mai visto nulla del genere e generarono una vera rivoluzione artistica. Vennero chiamati i maggiori esperti per studiarli, vennero invitati artisti da tutto il mondo per esaminarli, tra cui anche Antonio Canova ritenuto il massimo esponente del Neoclassicismo nella scultura, soprannominato per questo "il nuovo Fidia"; fu chiesto a lui di restaurare le parti mancanti, ma si rifiutò, spiegando che quelle opere “erano opera degli artisti più abili che il mondo avesse mai conosciuto” e che “sarebbe un sacrilegio per chiunque presumere di toccarli con uno scalpello”.
Lord Byron (anche lui inglese…) e altri intellettuali del tempo furono pesantemente critici su questa appropriazione. Digitare sul web “I marmi del Partenone” equivale a digitare “I marmi di Lord Elgin”, bellezza eterna ed eterna disputa. Politica ed economia, ovviamente, ma anche questioni di identità e di sovranità.
Quando il conte di Elgin si prese i marmi smontandoli dal Partenone di Atene e li portò a Londra, non poteva sapere che da lì a 220 anni si sarebbe ancora parlato delle conseguenze di quell’iniziativa. Ancora se ne discute da quaranta anni senza che si sia arrivati ad una soluzione, perché il British Museum e il Governo inglese si rifiutano di restituirli, disponibili al massimo a prestarli (alla madre…!?) nonostante l’intervento dell’UNESCO che nel 1978 creò una commissione intergovernativa proprio per incentivare le restituzioni dei beni culturali acquisiti illegalmente. La sensibilità intorno al tema delle restituzioni di opere d’arte, infatti, sta cambiando e molti sforzi da allora sono stati fatti per poter riunire tutte le sculture al corpo del Partenone all’interno del Nuovo Museo dell’Acropoli, ove è custodita l’altra metà di quelle sopravvissute alle distruzioni.
Non è occasionale che se ne parli oggi qui a Roma e che sia presente l’Ambasciatrice greca presso la Santa Sede, perché è dalla sensibilità dell’Italia e del Vaticano che sono partiti i due gesti esemplari che oggi costituiscono precedenti importanti: la restituzione del “frammento Falgan” dal Museo di Palermo (giunto in Sicilia ai primi dell’Ottocento con il console inglese Robert Falgan) e quella dei tre frammenti dai Musei Vaticani voluta da Papa Francesco “quale segno concreto del sincero desiderio di proseguire nel cammino ecumenico di testimonianza della Verità”.
Le discussioni tra il Governo greco e il British Museum sono incentrate sul superamento di ostacoli normativi, ma il Prof. Stampolidis sta riportando il dialogo ad un livello più alto di civiltà che si converrebbe maggiormente al nostro secolo rispetto a quello dei colonialismi, perché le collezioni di certi musei occidentali sono anche frutto delle antiche dominazioni dei Paesi che ospitano quei musei.
La conferenza, mirabilmente strutturata e appassionante, ha raggiunto momenti di emozione perché toccando i sentimenti più profondi di identità e appartenenza propri di ogni individuo ne rianima la parte più nobile, che si riconosce in una comunità dove tutti si emozionano allo stesso richiamo.
Non esito a riportare qui che l’emozione è diventata commozione e ci ha portato quasi ad abbracciarci tutti con lo sguardo e a scambiarla con i vicini di seduta, nel veder riconosciuta una verità assoluta e universale che è quella naturale: quei Marmi sono nati per brillare al sole dell’Ellade… non nella nebbia di Londra!
Il gesto creativo produce una nascita, in un certo luogo e in un certo momento; quella è la sua identità e l’identità non può essere smembrata.
Lo scopo di questo articolo non è quello di entrare nella discussione, né ha la pretesa di raccontare la conferenza (che merita di essere ascoltata per intero dalla voce del Prof. Nikolaos Stampolidis), bensì quello di portare l’attenzione su un tema che sembra riservato agli addetti ai lavori ma in realtà riguarda un cammino di civiltà su cui siamo impegnati tutti, affinché si possa dire che l’essere umano davvero progredisce. In tempi mediatici in cui si parla soprattutto della parte peggiore, le guerre e i nazionalismi connessi, siamo chiamati a non ragionare solo in termini politici ed economici ma ad alzare lo sguardo.
Uscendo dalla Curia Iulia è ormai sera, a cancelli chiusi ci siamo solo noi nel Foro Romano, ancora ci risuonano dentro le emozioni e nel cielo che si è oscurato brillano “i nostri ruderi” illuminati.
Mi sale dal cuore la gratitudine per chi dedica la sua vita a preservare, custodire e difendere l’identità culturale di cui siamo fatti, in particolare verso il Prof. Stampolidis che ci ha fatto volare alto e la Presidente della Dante Alighieri di Atene (Dr.ssa Mariangela Ielo) per aver operato questa connessione per cui mi sono potuta sedere ad ascoltare, tra passato e presente, nel Senato di Cesare.
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